Sappiamo da tempo che gli edifici residenziali italiani, in quanto a dotazione digitale, soffrono di una grande arretratezza rispetto agli omologhi dei Paesi confinanti. Nonostante il Testo Unico dell’Edilizia, (par. 135bis) imponga in tutti gli edifici nuovi o ristrutturati l’installazione di una dorsale in fibra ottica, il famoso impianto multiservizio, la ridotta quantità di nuove costruzioni rende di fatto questa dotazione una rarità. Purtroppo, i servizi di risparmio e gestione dell’energia, cui siamo obbligati anche dalle direttive europee, non possono essere realizzati senza un’infrastruttura digitale al servizio dell’edificio, come è facile immaginare. Stesso discorso vale per altri servizi comuni al condominio: la videosorveglianza, la gestione della ricarica elettrica nel parcheggio comune, etc. In breve, senza infrastruttura distributiva non si possono offrire ai condomini le funzioni che all’estero stanno sviluppando un mercato ricchissimo, ma che da noi sono quasi sconosciute.

Per chiunque sia del mestiere, ma anche per molti che non lo sono, è del tutto evidente che, per gestire i dati e i comandi in un edificio, serva una rete che li muova da un punto all’altro della struttura. Una rete passiva però non basta per realizzare uno o più servizi per l’edificio e per chi vi risiede. Devono essere installati anche sensori e attuatori, in generale tutti i dispositivi che permettano di generare e utilizzare le informazioni che costituiscono l’essenza della funzione stessa. Per il videocontrollo, ad esempio, servono telecamere e dispositivi di visualizzazione e registrazione, tutti interconnessi dalla fibra ottica dell’impianto multiservizio.

Ma ancora non basta. Dato che parliamo sostanzialmente di servizi di natura digitale, è ovvio che da qualche parte della struttura si debba prevedere l’esistenza di qualche apparato dotato di capacità computazionali, nel quale ‘giri’ il programma di gestione della specifica funzione. Qualche anno fa, quando molti erano pervasi dal sacro furore dei cloud, qualcuno era arrivato a teorizzare che si potesse gestire un edificio con un insieme di dispositivi locali, di tipo IoT, collegati a un unico elemento gestionale remoto, posto appunto nel cloud. Quanto allora si sbagliassero, è oggi evidente: a parte ogni considerazione sull’opportunità di lasciare la gestione di casa propria a qualche azienda situata in paesi remoti, capace oltretutto di chiudere il cloud da un momento all’altro, è chiaro che la gestione dei processi in tempo reale e il trattamento dei dati di casa mia devono essere eseguiti localmente, per una serie di ragioni che non starò ad elencare ma che è facile immaginare. Per fare un esempio, nessuno sarebbe così pazzo da gestire la frenata di un’automobile elaborando su di un cloud i dati che provengono dal pedale del freno.

Per ovviare a queste situazioni, i produttori di sistemi professionali per l’installazione nell’edificio ricorrono a dispositivi computazionali che si installano localmente, di solito al confine logico tra rete dati pubblica e infrastruttura digitale del building stesso. Per tale motivo sono spesso definiti come “edge computer”. C’è però un problema. Questi dispositivi sono specifici all’azienda che li propone e ai servizi che offre: più servizi di aziende diverse, più scatolette, e questo rende le cose complicate. Non solo il costo globale aumenta, ma anche l’integrazione tra servizi diversi diventa difficoltoso; inoltre l’occupazione degli spazi installativi, ridottissimi soprattutto negli edifici più datati, diventa un vero limite.

Una soluzione a tutti questi problemi comunque c’è, ed è anche semplice ed economica. L’idea che SBA Italia sta studiando, con l’aiuto di esperti propri, dell’ANIE e del CEI, consiste nella standardizzazione di un edge computer dedicato all’installazione nell’edificio, capace di eseguire più programmi simultaneamente. In questo modo basterebbe un solo dispositivo per tutte le applicazioni comuni, con gli ovvi risparmi di costo, tempo di installazione, spazi. Avere tutti i servizi di interesse all’interno di un unico dispositivo renderebbe ovviamente più semplice e l’interoperabilità tra di essi. La standardizzazione servirebbe a rendere aperta questa architettura a qualunque azienda o ente che volesse sviluppare un servizio nuovo. Dal punto di vista dell’utente, sia esso un condomino o l’amministratore stesso, l’acquisto di un nuovo servizio comporterebbe il download e l’installazione di un programma nell’edge computer, proprio come oggi si scaricano le ‘app’ su di uno smartphone.

Ovviamente questo dispositivo, di uso generale, dovrebbe offrire delle risorse abbastanza ‘generose’ in termini di potenza di calcolo e di memoria, in modo da ospitare agevolmente più processi concorrenti. I servizi di cui normalmente si parla per l’edificio non sono però particolarmente esigenti, e i dati dei sensori non sono una gran mole, forse con l’eccezione delle telecamere di videosorveglianza. Teniamo conto però che i processori oggi usati, ad esempio, nei telefonini, e la memoria di cui è dotato uno smartphone anche di bassa gamma, sono più che sufficienti per la maggior parte di queste applicazioni. Si dovrà anche definire il sistema operativo e le API standard per l’accesso alle risorse dell’edge computer, ma non è un gran problema. La scelta tra le soluzioni già esistenti è davvero ampia.

Chiunque fosse interessato a contribuire a questo progetto innovativo e potenzialmente importante per il Paese, è benvenuto in Smart Buildings Alliance Italia, che ha attivato il WG1 Architetture coordinato dal sottoscritto, e può prendere contatti con la nostra segreteria.